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Intervista a Guido Rumici a cura di Federico Guiglia

Dal "Secolo d'Italia" di mercoledì 15 maggio 2002

I nomi, i luoghi, i testimoni, i documenti". Così si presenta, semplicemente, "Infoibati", l'ultimo libro (per Mursia) di un insegnante di storia e di economia che al tema ha dedicato dieci anni di passione, tre di ricerche e uno di stesura. Ma il lavoro di Guido Rumici, che alle tante storie di quella Storia dimenticata rivolge la sua attenzione da tempo, è solo uno spunto per riflettere oltre le foibe: che cosa può significare quella memoria negata per un futuro condiviso? "Anche in Slovenia la gente comincia finalmente a parlare", rivela lui, che ha raccolto dati e date, carte, centinaia di dichiarazioni. E di lacrime. Cultore di diritto europeo e agrario nell'Università di Genova, già autore di "Fratelli d'Istria", Rumici sottolinea il metodo ("documentario") e l'approccio ("fonti multiple, nazionali ed estere") all'origine delle sue conclusioni: "Ci fu un disegno politico nell'eliminazione di migliaia di italiani". Il professore è goriziano e ha quarantadue anni.

- Perché la storia delle foibe è stata infoibata così a lungo?
C'era tutto l'interesse a tenerla nascosta Nel secondo dopoguerra le etichette affibbiate sia agli esuli ("tutti fascisti") sia ai rimasti ("tutti comunisti"), facevano comodo alla politica del tempo. Regnava il pregiudizio. All'epoca la nostra sinistra era legata allo schema internazionalista comunista. E i misfatti fatti dai partigiani di Tito, andavano coperti.
- Quand'è che ha imparato per la prima volta il significato della parola foiba?
Quando l'ho vista. Un mio amico istriano mi portò a mostrarmene una - la foiba Martinesi, vicino a Buie - in cui avevano buttato giù un sacerdote. Dunque, un innocente, che non era certo inquadrato nella politica. La cosa mi colpì profondamente.
- Che cosa invece la spinse a dedicarsi al tema da studioso?
Il fatto che da troppi anni si parlava poco del fenomeno. E soltanto in chiave politica. Io racconto fatti, non do interpretazioni. Credo che finora sia prevalso, al contrario, un generale orientamento di opinioni, di giudizi sui fatti. Non le date, i fatti, i luoghi, gli episodi in modo il più possibile divulgativo.
- Oltre al metodo in che maniera si può essere storiograficamente originali nel merito della questione?
Nelle fonti. Io ho usato sia la pubblicistica italiana che quella slava. E ho avuto accesso a documenti anche inglesi e anche slavi.
- Perché questi punti d'osservazione erano stati finora trascurati?
Negli anni passati era più difficile scrivere di questi argomenti, perché essi erano legati intimamente alla politica. Adesso si può cercare una maggiore oggettività L'uso di più fonti, e di fonti inedite e sottovalutate, aiuta a scavare nella verità dei fatti.
- Qual è la conclusione più rilevante dei suoi studi?
Di rilevo c'è sicuramente una cosa: i fatti testimoniano che vi fu un disegno politico nell'eliminazione delle persone. Non fu, come in molti altri testi si dice, il frutto di una resa dei conti, di fatti emozionali, di una grande vendetta sul momento. Certo, non mancarono episodi anche di questa natura. Però alla base di tutto ci fu un progetto politico.
- Progetto che prende corpo quando e come?
Ci sono state due ondate, per così dire. La prima nel '43 (settembre/ottobre). La seconda nel'45 (maggio/giugno). Si cercò di colpire tutte quelle persone che rappresentavano in qualche modo lo Stato italiano. Andando a confrontare nelle varie località chi fu eliminato, si vede che grossomodo furono uccisi appartenenti alle stesse e significative categorie. Insegnanti, segretari comunali, rappresentanti delle forze dell'ordine, carabinieri, poliziotti. Non esclusivamente fascisti in quanto tali, quindi, ma cittadini espressione dell'Italia sul territorio.
- Persino chi ?
Persino i messi comunali, gli impiegati dell'anagrafe, le guardie forestali... La prima ondata colpi essenzialmente l'Istria, ma non solo. In prevalenza s'abbatté sull'interno dell'Istria, dove i partigiani s'erano insediati. Nelle grandi città - Pola, Fiume, Trieste, Gorizia - c'erano i nazisti, e non i partigiani di Tito, che vi arriveranno nel '45, prima ancora degli anglo-americani. Essi, quei partigiani, applicheranno lo stesso criterio sperimentato in precedenza: colpire quanti potevano rappresentare un ostacolo alla lotta per l'annessione della Regione italiana alla Jugoslavia.
- Altre prove dei disegno politico?
Andavano casa per casa con delle liste già compilate. "Vennero a bussare alla mia porta con un elenco di cento nomi e presero mio padre che era il trentacinquesimo". Si trovano tante testimonianze come questa. In certi casi arrivarono a prendere due persone omonime. Nel dubbio. Dunque, non fu un'eliminazione casuale, a casaccio, dettata da furori emotivi.
- Qual è la responsabilità di Tito nel progetto?
Come spesso succede nella storia, i quadri intermedi possono essere più cattivi del capo. Magari scatta quest'ansia di voler essere più realisti del re. Naturalmente non esiste un documento con un ordine scritto, firmato e timbrato da Tito. E magari spedito da una raccomandata con ricevuta di ritorno... Però certamente la sua polizia segreta agi in base a direttive comuni in varie città. C'è un'accertata ripetizione di metodi che non è casuale. Il fatto, per esempio, che molto spesso andassero nelle case in modo amichevole. "Venga al comando per un semplice interrogatorio", dicevano con aria tranquilla. Per la vittima designata era l'inizio della fine.
- Altri elementi a favore delle "non casualità" dei fatti?
Il modo stesso in cui uccidevano le persone. Le portavano via quasi sempre di notte. E le ammazzavano seguendo di solito la stessa "procedura".
- In che modo venivano uccisi?
Quando si parla di foibe, si tende a generalizzare il fenomeno. Un fenomeno che può essere invece distinto in tre fasi. Ci furono i fucilati. Ci furono i deportati in campi di concentramento, dove rimasero anche a lungo, morendo di stenti, sevizie, malattie. Infine ci furono gli infoibati. Questi ultimi in linea di massima venivano spintonati a calci e pugni fino all'orlo della cavità. Avevano i polsi legati col fil di ferro. Spesso erano messi a due a due. Così si sparava al primo, che precipitava nella foiba, portandosi appresso quello vivo. La foiba era fonda decine, anche centinaia di metri. Potevano morire, i vivi, dopo lunga agonia Testimonianze riferiscono di urla, di strazianti richieste di aiuto che arrivavano dal ventre della terra anche uno, due giorni dopo gli eccidi.
- Quanti furono gli italiani scomparsi?
Le stime possono partire da almeno seimila vittime accertate ad oltre diecimila. Più di quattrocento fra donne e ragazzi. Trentanove i religiosi. I primi cinquecento furono eliminati già nel '43.
- Chi finiva nei campi di concentramento?
Molti militari. Sia della Rsi, catturati alla fine delle ostilità, sia soldati italiani rimasti nei Balcani dopo 1'8 settembre e che vissero un'epopea di stenti. II fatto di essere stati tra i partigiani, non li salvò dalla deportazione. Aggiungo che furono uccisi anche molti slavi anti-comunisti. In particolare sloveni e croati che avevano combattuto contro Tito con le formazioni collaborazioniste. Nel progetto di eliminazione alla fine si mescolarono elementi politici, nazionali, ed ideologici. E pure sociali: con l'occasione si uccise anche il borghese, il padrone del negozio che non dava credito.
- Che cosa emerge dalle fonti straniere da lei consultate?
Intanto la dichiarazione scritta del 1950 - occhio alle date - in cui Francesco Freddi, un rimpatriato dalle carceri jugoslave, dichiarava che con lui erano presenti, fino a pochi giorni prima, pure due personaggi famosissimi in Istria: Licurgo Olivi, rappresentante socialista del Cln e Gino Morassi, vice podestà di Gorizia. Si pensava che queste due persone fossero state infoibate nel '45. Invece cinque anni dopo erano ancora vivi come "ostaggi". Ostaggi destinati a sparire nel nulla. La vicenda di Olivi, poi, è molto importante. Antifascista, dopo che fu catturato nel '45 si ebbe un intervento molto forte promosso dal Cln per liberarlo. Senza esito da parte degli sloveni.
- Altri documenti innovativi per capire "sine ira et studio"?
Ne ho trovati tantissimi, sono stato costretto alla selezione. Ho pubblicato la relazione Harzarich, per esempio, dal nome del maresciallo Arnaldo che aveva diretto le esplorazioni e i recuperi nelle foibe istriane fra il 16 ottobre '43 e il 2 febbraio '45. Questo maresciallo dei vigili del fuoco racconta di ogni foiba perfino le donne che ha tirato su. Tra cui Norma Cossetto, nome conosciutissimo e oggetto di una violenza brutale. C'è poi un documento inedito dei comunisti di Gorizia i quali, il 29 giugno del '45, davano ordine ai compagni sloveni di liberare trentasei carabinieri che avevano collaborato nella lotta partigiana. In realtà, un mese e mezzo prima essi erano stati tutti infoibati.
- Dalle carte inglesi che cosa si ricava?
Per molti anni si disse che a Basovizza non c'era niente. I negazionisti contestavano il simbolismo di quella foiba. Ma documenti inglesi confermano il recupero di una decina di salme e di una quantità notevole di resti. Impossibile indicare oggi quanti morti siano rimasti laggiù. Probabilmente non sono i tremila, di cui pure s'è scritto molto. Però ci sono, ecco. C'è un punto fermo tra zero e tremila.

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